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L’epidemia di coronavirus sta avendo, ed avrà, un impatto pesante nell’ambito dei rapporti contrattuali.
L’attuale pandemia, infatti, rappresenta una tipica “causa di forza maggiore” che può giustificare la risoluzione di un contratto a causa della sopravvenuta impossibilità di adempiere da parte di una o, addirittura, entrambe le parti contrattuali. Senza contare i ritardi e le sospensioni a cui possono essere stati soggetti anche i contratti rimasti in esecuzione.
A fronte di una simile situazione, la prima norma di riferimento è quella dettata dall’articolo 1256 del codice civile, ai sensi del quale, “l’obbligazione si estingue quando, per causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile”.
A completamento di tale previsione, il successivo articolo 1463 del codice civile, stabilisce che la parte che risulta “liberata” dalla sopravvenuta impossibilità della prestazione non possa chiedere la controprestazione dell’altra parte e, anzi, debba restituire ciò che abbia già ricevuto in esecuzione del contratto stesso, come, ad esempio, il prezzo del prodotto non consegnato o del servizio non prestato.
L’applicazione di tali norme, tuttavia, non va fatta in modo rigido e pedissequo, dovendosi comunque guardare al caso concreto per un corretto temperamento dei loro effetti.
Così, ad esempio, andrà valutato in che modo l’evento “di forza maggiore” abbia concretamente inciso sulla prestazione, nonché la rilevanza del conseguente inadempimento rispetto all’intero rapporto, come pure la tipologia stessa del contratto: i contratti di durata od a prestazioni periodiche, invero, potranno essere meno condizionati da sopravvenute difficoltà nell’adempimento, mentre altre tipologie contrattuali, quali ad esempio i contratti aleatori, potrebbero aver considerato la sopravvenuta impossibilità come un elemento della stessa alea contrattuale.
Del resto, il secondo comma del già citato articolo 1256 del codice civile, è chiaro nel prevedere che, se l'impossibilità è solo “temporanea”, l’estinzione dell’obbligazione non avverrà automaticamente ma solo quando l’impedimento dovesse perdurare sino al punto da renderla sostanzialmente irrealizzabile oppure il creditore non abbia più interesse a conseguirla.
L’articolo 1464 del codice civile, invece, è altrettanto preciso nello stabilire che, nei contratti a prestazioni corrispettive, se l’impossibilità ha riguardato solo una parte della prestazione, non è possibile chiedere la risoluzione dell’intero contratto ma solo la riduzione della prestazione ancora dovuta dal soggetto “impossibilitato”, salvo che la controparte non decida di recedere dal contratto non avendo più interesse all’adempimento parziale.
Ricordati i principi dell’ordinamento, appare comunque evidente che, in una situazione come quella attuale, caratterizzata dall’incertezza tanto sulla durata quanto sulla portata del contagio, la strada preferibile e più ragionevole per garantire la ripresa, nonché la prosecuzione, dei rapporti civili e commerciali sarà quella della rinegoziazione dei contratti.
Attraverso la rinegoziazione, infatti, si potrà concordare la mera sospensione dei termini e delle scadenze contrattuali già in essere, oppure l’estensione della durata stessa dei contratti già in essere, se non addirittura concordare il loro rinnovo integrale, a condizioni più favorevoli per tutte le parti.
In quest’ottica, il ricorso su base volontaria alla negoziazione assistita e, soprattutto, alle procedure di mediazione, potrà risultare particolarmente utile ed opportuno, non solo per evitare gravosi contenziosi aziendali, ma anche per consentire la rapida ripartenza dell’intero sistema economico del Paese.
Avv. Maurizio Di Rocco